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Linea Edilizia e Colore: approfondimenti


Pitture e finiture alla calce


Le pitture murali risalgono alla preistoria

 

Notizie certe di pittura a calce ci pervengono da tutto il mondo.

Già’ gli antichi Egizi del Medio Regno (110 millennio prima di Cristo) usavano la calce spenta come pigmento, mentre nel mondo greco-romano i 37 libri della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (23 d.C.-79 d.C.) e il De Architectura di Vitruvio ci descrivono le tecniche dell’affresco, della tempera e dell’encausto, l’origine dei colori e la loro lavorazione.

Dall’India Antica sono pervenuti fino a noi, grazie ai versi degli S’ilpa S’astra (V sec. d.C.), veri e propri trattati sulle antiche tecnologie pittoriche, notizie sulle calci spente, sui calcari amorfi, calcari dolomitici, su dolomia e magnesite usate sia come pigmenti che come leganti.

L’universalità’ di questi impieghi è presumibilmente dovuta alla facile reperibilita’ del calcare. E’ comunque rimarchevole il fatto che popoli di culture cosi’ diverse abbiano sviluppato tecnologie molto simili e raggiunto identici risultati: risultati ancora visibili a tutti, che hanno scavalcato i secoli, tramandatisi di padre in figlio fino ai giorni nostri.


Il grassello di calce come legante e come pigmento

E’ bene ricordare qui il processo di fabbricazione attraverso il quale si ottiene il grassello di calce comunemente detto “calce spenta”.

La pietra calcarea CaCO3, cotta in forni a legna o, più recentemente, in forni a olio combustibile o a metano, cede l’anidride carbonica CO2 e si trasforma in ossido di calcio. L’ossido con l’aggiunta di acqua da’ l’idrossido di calcio Ca(OH)2, comunemente detto “grassello di calce” o “calce spenta”.

 

La qualità dei grasselli dipende da questi fattori:

 

1)L’origine del calcare, che può essere più’ o meno puro.

 

Se la quantità di magnesio ed altre sostanze estranee presenti nel calcare sono inferiori al l0%, il grassello che ne deriva sarà denominato “calce grassa”, preferibile come legante nel confezionamento delle pitture a calce per la sua maggiore adesività.

Altra caratteristica importante quando si voglia usare il grassello come pigmento bianco è il grado del suo “biancore”, strettamente legato alla provenienza del calcare. E’ quindi di grande aiuto al pittore conoscere la cava di origine del calcare in analogia con le denominazioni “D.O.C.” dei vini di origine controllata.

 

2) Il sistema di cottura.


Un tempo i forni erano a legna, a carbone di legna o a segatura. In questi forni la cottura del calcare avveniva lentamente in ambiente umido, tra i 900°C e i l000°C, senza pericolo di inquinamento dai residui di combustibile.

Dopo la seconda guerra mondiale l’industria, per le necessità di una produzione in grandi quantità in tempi brevi (a scapito della qualità)ha mano a mano eliminato questi tipi di forno, sostituendoli con i più economici forni a olio combustibile o a metano. Il prodotto però non ha più le stesse caratteristiche organolettiche, di struttura cristallina, di purezza e di biancore.

Attualmente ci si è resi conto di questo fatto e si cerca di ripristinare l’antico sistema di cottura, conservando gelosamente i pochi forni ancora esistenti.

Per una buona pittura a calce è indispensabile che il grassello sia cotto a fuoco di legna o di segatura.

3) Lo spegnimento.

 

Come abbiamo visto lo spegnimento della calce viva deve avvenire lentamente con un eccesso d’acqua. Fino al dopoguerra la calce viva veniva spenta in un apposito scivolo denominato “truogolo” o “bagnolo”, dove le pietre (zolle) venivano abbondantemente bagnate e schiacciate dal calcinaio con un apposito attrezzo denominato “marra” fino ad ottenere una poltiglia densa, fine, bianca e dall’aspetto gelatinoso, che cadeva poi nella fossa di spegnimento passando attraverso una prima setacciatura. L’operazione doveva essere eseguita con molta attenzione perché si produce una reazione fortemente esotermica che fa letteralmente “bollire” la calce, con conseguente pericolo per l’epidermide e soprattutto per gli occhi del calcinaio.

 

Il sistema industriale per accelerare i tempi spegne oggi la calce viva in due modi:

 

l) la calce viva viene immessa in un cilindro rotante fittamente forato dove confluisce un getto d’acqua . Attraverso la rotazione si ottiene la rottura delle zolle e la fuoriuscita del grassello dai fori; il grassello viene poi accumulato nelle fosse d’invecchiamento. Le parti non idratate che non passano attraverso i fori vengono espulse dal cilindro.

 

Questo sistema presenta un inconveniente evidente rispetto allo spegnimento a mano, e cioè molte più parti non ancora perfettamente idratate passano attraverso i fori del tamburo e non vengono trattenute dai setacci, che per non rallentare l’operazione devono essere necessariamente a maglia grossa.

Queste parti non idratate e che impegnano anche anni a trasformarsi in Ca(OH)2 sono i cosiddetti “calcinaroli” o “boccioli della calce” che impastati nella malta o nei grasselli usati come leganti provocano poi con il tempo, a contatto con l’umidità’ atmosferica, le cosiddette “sbocciature” tanto temute dai riquadratori e dai pittori.

Da qui consegue la necessità di setacciare più volte, a mano e lentamente attraverso setacci sempre più fini, i grasselli di valore, cioè’ quelli utilizzabili per le pitture e per le rasature sottili colorate e non.

Si consiglia pertanto di richiedere per le rasature grasselli setacciati almeno tre volte e, per le pitture, passati al burrino (setaccio fine da farina).

 

II) Con acqua in quantità’ stechiometrica per fabbricare la calce in polvere, anche detta “fiore di calce”.

Dopo la cottura le zolle di pietra calcarea-calce viva-vengono frantumate e spente con la quantità’ strettamente necessaria di acqua. Infine vengono macinate finemente e insaccate.

La frantumazione prima e la macinazione poi comportano pero’ la presenza di impurità’ e di materiali inerti dovuti alla klinkerizzazione dei composti che klinkerizzano a temperature superiori a 900°C, che non possono essere divisi dal prodotto finale.

A parte la resa, che è fino al 20% inferiore a quella dei grasselli, queste impurità’ sono

altamente sconsigliabili sia nel confezionamento in cantiere di pitture al latte di calce, sia per la preparazione in fabbrica di premiscelati per rasature e finiture, essendo molto piu’ elevato il rischio dei “calcinaroli”.

 

4) L’invecchiamento.

 

Anche i Romani conoscevano bene l’importanza dell’invecchiamento del grassello. Infatti alla nascita di un figlio scavavano la fossa, spegnevano la calce viva e la ricoprivano di sabbia per scoprirla soltanto quando il figlio si sposava e dovevano costruirgli la casa.

 

Negli ultimi tempi è sorto un malinteso riguardo ai tempi di invecchiamento del grassello. Alcuni “esperti”, equivocando sulla diminuzione dell’adesività’ del grassello invecchiato, sono arrivati a suggerire di utilizzare per le pitture grasselli spenti solo da alcuni mesi. Mentre è vero che il grassello perde con gli anni una piccola parte del suo potere adesivo, è pero’ estremamente importante considerare:


l) che il sottile strato di tinta fa comunque pochissima presa e quindi la diminuzione del potere adesivo del grassello non incide che in minima entità’; per aumentare l’aggancio sono stati usati sia dagli antichi che nelle moderne manipolazioni adesivi naturali che aumentano l’aderenza e impediscono lo spolvero;


2) che l’invecchiamento riduce la possibilità’ di formazione dei calcinaroli; a volte occorrono anni per la completa idratazione;


3) che i grasselli freschi di spegnimento “tormentano” con la loro forte alcalinità’ i coloranti sia naturali che sintetici;


4) che anche la legislazione italiana prevede per i grasselli da intonaco da tre a sei mesi di invecchiamento.

I tempi d’invecchiamento ottimali oggi universalmente riconosciuti sono i seguenti:


- malte d’allettamento: 28 giorni

- malte di sottofondo: 6 mesi

- monostrato da restauro: 1 anno

- finiture: 2 anni

-pitture: 3 anni

- affreschi e graffiti: 4 anni

 

I tempi d’invecchiamento.

L’invecchiamento deve avvenire dapprima in fosse con acqua affiorante, ricoperte con tavole e sabbia che impedisce il contatto diretto con l’aria. Durante l’invecchiamento in fossa le impurità’ e i calcinaroli, cioè’ le parti non ancora completamente spente, tendono a depositarsi sul fondo.

Dopo la schermatura, che deve avvenire nel modo descritto piu’ avanti, il grassello da invecchiamento dev’essere setacciato, nuovamente lavorato con miscelatori a elica e additivato, a seconda dell’utilizzazione finale, con adesivi naturali e altri additivi, sempre naturali, atti ad evidenziare una specifica proprietà’.

I grasselli per pitture, poi, devono essere “burattati”, passati cioè’ al setaccio fine anche detto “buratto”, o addirittura micronizzati scartando le particelle di diametro superiore al micron.

I grasselli cosi’ lavorati e selezionati vengono poi confezionati in secchi di plastica e conservati in ambienti a temperatura costante in analogia all’invecchiamento dei migliori vini.

 

5) La scrematura.

Come abbiamo visto, durante l’invecchiamento in fossa le impurità’ e le parti non completamente idratate, cioè’ i cosiddetti calcinaroli, essendo piu’ pesanti tendono a depositarsi in fondo. E’ necessario pertanto che il prelievo del grassello per le successive lavorazioni e vagliature avvenga delicatamente, e cioè’ che le fosse vengano scremate.

Il prelievo deve interessare al massimo 20 cm. Di spessore e non deve interessare le parti sottostanti. Le schermature devono avvenire con intervalli di almeno un mese.


CONCLUSIONI SUL GRASSELLO

 

I grasselli, forniti dalle fornaci nei cosiddetti “maialini”, sacchi di plastica da 33 Kg., vengono venduti freschi di spegnimento (28 giorni), sono generalmente impuri, contengono calcinaroli e sono fortemente alcalini, “tormentano” cioè’ i coloranti variandone la tonalità’ e in alcuni casi modificandone la resistenza nel tempo.

Questi grasselli possono essere utilizzati esclusivamente per il confezionamento di malte da muratura o malte da sottofondi. Sono sconsigliabili per le malte monostrato, per le rasature e le velature e assolutamente inadatti alle pitture, agli affreschi, ai graffiti e agli encausti.

 

Le operazioni per ottenere grasselli validi e cioè’: lo spegnimento a mano, l’invecchiamento, la triplice setacciatura, la scrematura, l’additivazione di sostanze naturali per evidenziare l’una o l’altra proprietà’ venivano un tempo eseguite in cantiere dal “maestro” intonacatore o pittore, secondo precise ricette storiche.

Ai nostri tempi cio’ è pero’ impossibile per l’elevato costo della mano d’opera, come d’altra parte è impensabile che queste operazioni siano effettuate dalle fornaci, che lavorano sulla quantità’ piu’ che sulla qualità’.

Fortunatamente negli ultimi tempi, raccogliendo le istanze delle Soprintendenze ad un ritorno agli antichi sistemi, stanno nascendo piccole entità’ tra l’industriale e l’artigianale che si sono fatte carico di queste lavorazioni proprie della manualità’, riducendone i costi pur mantendone le caratteristiche.

Ovviamente il grassello passato attraverso le manipolazioni sopra illustrate avrà’ costi di decine di volte superiori ai grasselli venduti dalle fornaci, ma questi costi saranno comunque di gran lunga inferiori a quelli conseguenti alle stesse operazioni effettuate in cantiere dall’artigianato.

 

Comunque va considerato che il costo superiore di questi grasselli non incide che in minima parte sul costo in opera del lavoro, date le minime quantità’ necessarie sia per le pitture a calce che per finiture colorate-rasature o velature.

 

L’ACQUA-IL LATTE DI CALCE-L’ACQUA DI CALCE


. L’acqua.

E’ un elemento importante nel confezionamento della malta e soprattutto nella preparazione delle pitture, sia per la qualità’ che per la quantità’.

L’acqua potabile “di una volta”, proveniente da pozzi pescanti in falde non ancora inquinate

e non corretta da depuratori chimici, non dava origine a inconvenienti di sorta.

Attualmente dobbiamo accontentarci di cio’ che ci offre il convento. Possiamo pero’ elencare qui di seguito le acque che possono causare inconvenienti:


- l’acqua marina, a causa del suo elevato contenuto di sali solubili

- l’acqua distillata e l’acqua piovana perché essendo prive di sali solubilizzano la calce impoverendola

- le acque stagnanti perché contengono gas in soluzione che possono inibire il fenomeno della presa

- le acque torbide contengono argille e sostanze organiche che interferiscono con le reazioni dell’alluminio e del calcio e quindi con la presa e l’indurimento

- le acque di rifiuto contengono anidridi, sali, zuccheri e residui oleosi estremamente dannosi


Si deve inoltre tener presente che la temperatura ottimale di utilizzo dell’acqua deve essere tra + 14°C e + 20°C; con temperature basse è bene intiepidire moderatamente l’acqua. Importantissimo ai fini della presa e dell’indurimento delle malte è il rapporto legante/acqua. Un eccesso d’acqua conferisce alla malta maggiore lavorabilità ma minore resistenza. La quantità ottimale è in funzione dell’umidità atmosferica e degli inerti: puà variare, nelle malte a grassello, da 350 a 450 litri/mc di malta.

Nel confezionamento delle tempere i pigmenti e i coloranti vengono disciolti in acqua, che costituisce il “medium”, o veicolo.


. Il latte di calce

Per latte di calce si intende una sospensione di grassello di calce spenta da almeno un anno in acqua.

La quantità di grassello disperso in acqua è normalmente del 10%. Il latte di calce può avere le seguenti funzioni:

- quella di primer da applicarsi sulle murature prima della loro intonacatura e tra una ripresa e l’altra quando non è possibile lavorare fresco su fresco

 

- quella di correttore della densità della malta

- quella di medium o veicolo nel confezionamento delle pitture a calce.

Per le pitture da utilizzare a “fresco” il colorante si diluisce con il grassello tenendo presente di non superare il 10%/12% del grassello stesso per non nuocere alla trasparenza delle cosiddette “scialbature”. In un buon affresco il numero delle scialbature varia da tre a cinque.

Per le scialbature il rapporto di miscelazione grassello-acqua di calce è di circa 1:5 o 1:6.

Per le pitture a calce applicate su superfici secche la diluizione del grassello con acqua di calce scende al rapporto di 1:3 o 1:4. In questo caso le mani da applicare sul supporto accuratamente bagnato con acqua pura possono limitarsi a due o tre.

. L’acqua di calce.

 

Per acqua di calce si intende una soluzione di acqua satura di idrossido di calcio. L’acqua di calce si forma durante lo spegnimento della calce viva ed affiora sulla fossa di invecchiamento. Viene normalmente decantata fino ad ottenere un liquido trasparente molto puro.

Si usa, nebulizzata, per fissare a termine lavori le tinte a calce e le finiture, e per gli affreschi come “primer”.


LEGANTI E ADDITIVI

. I leganti naturali.


Già gli Egizi e poi i Romani conoscevano l’uso di leganti naturali per migliorare l’adesività delle malte e delle pitture a calce.

I leganti naturali si dividono a seconda della loro provenienza in vegetali e animali.

I leganti vegetali si distinguono in:

  • resine terpeniche trementina spike oIl
  • balsamo del Canada sandracca
  • coppali
  • dammar mastice elemi balsami
  • sangue di drago ambra
  • lacche orientali gommalacca

Sono essudati di varie piante; alcuni sono liquidi e vengono usati come solventi delle altre resine; l’invecchiamento porta a naturali alterazioni.

Tra i leganti naturali di origine animale vi sono:

 

  • leganti proteici caseina
  • latte magro
  • colle di animali (pesce, ossa, carniccio)
  • rosso d’uovo albumina

Sono disponibili in fase acquosa. Hanno alto potere legante ma sono facilmente degradabili dai microrganismi e dell’umidità;

sono basici e quindi compatibili con la calce.

Gli oli siccativi, derivati dai semi oleosi di piante quali lino, cotone, ricino,G, sono liquidi a bassa viscosità che a contatto dell’aria essiccano; hanno la caratteristica di mantenere nel tempo il potere legante e le resistenze.

L’olio di lino crudo e ancora di più quello cotto decolorato sono compatibili con la calce fino a una percentuale del 2% e conferiscono alle pitture e finiture a calce una particolare resistenza agli agenti atmosferici e all’umidità.

I leganti polisaccaridi (sono assimilabili a zuccheri complessi):

  • amidi-solubili in acqua
  • colle di mais, di riso, di fecola(solubili a caldo)
  • cellulosa-insolubile in acqua
  • gomme polisaccaridi (buona solubilità)
  • eteri: metilico, etilico, G
  • esteri (nitrocellulosa, G)

Gli amidi sono prodotti “comodi” grazie alla loro solubilità in acqua; producono film e pellicole dure ma fragili.

Le cellulose sono insolubili in acqua e nei solventi comuni; hanno però originato derivati quali eteri ed esteri (colle artificiali + metilcellulosa o carbossimetilcellulosa) che possono costituire validi additivi, solubili e freddo, da utilizzare come sospensivi, stabilizzanti antisfarinamento e per migliorare la resistenza delle pitture all’acqua e all’umidità.

La gomma arabica, tra i polisaccaridi, è solubile in acqua, forma pellicole dure ma fragili.

Altri prodotti naturali usati fin dall’antichità sono:

l’allume di rocca, da un sale solubile in acqua anche a freddo,

trasparente; viene ancora oggi usato per neutralizzare i sottofondi, per rendere le colle meno degradabili dall’umidità e per dare maggiore luminosità alle tinte;

il sapone di marsiglia: solubilizzato in acqua serve per ottenere sottofondi pià scorrevoli.

 

Tra i leganti a veicolo (di sintesi), suddivisi in classi di polimeri, troviamo: 

  • leganti vinilici: vinilalcool (polivinilalcool) solubile in acqua;
  • polivinilacetati: si trovano in commercio sia in solventi organici che in dispersioni acquose; hanno un buon potere legante, ma sono. leggermente rigidi e vengono perciò plastificati;si usano normalmente per pitture lavabili, adesivi,stucchi e tempere;
  • leganti acrilici: sia in solvente organico che in dispersione acquosa; trasparenti, più flessibili dei vinilici, migliori resistenze fisico-chimiche e quindi all’invecchiamento; usati come vernici protettive e quali adesivi;
  • leganti poliammidici: utilizzati in particolare per legare le fibre; proposti come adesivi a fusione oppure a veicolo ( “nylon solubile” ) per adesivi e vernici da restauro;
  • leganti dienici: ad esempio il butadiene ( copolimerizzato con stirene e/o acrilonitrile),che per la sua flessibilità è usato ove siano previste deformazioni; ha però una scarsa resistenza all’invecchiamento;
  • leganti poliuretanici: elastomeri, nei tipi a veicolo organico o dispersioni all’acqua; possono essere formulati con maggiore o minore elasticità; hanno una durabilità eccellente.

 

Nella scelta dei leganti a veicolo si deve tenere presente che alcuni tipi subiscono, una volta in opera, trasformazioni chimiche irreversibili che, se pur ne possono aumentare la resistenza, ne rendono però estremamente difficoltosa, se non impossibile, la rimozione.

Leganti reattivi — a bassa viscosità: sono normalmente dei monomeri od oligomeri senza solventi; la polimerizzazione avviene in opera. Hanno forte potere adesivo e durabilità; sono pochissimo usati nel restauro perché non rimovibili.

Possono essere mono o bicomponenti.

Tra i leganti reattivi ricordiamo:

 

leganti alchidici: sono resine alchidiche modificate composte da resine poliestere e adesivi siccativi; simili alle pitture ad olio, vengono usati per la produzione di vernici sia a freddo che a forno.

Leganti poliuretanici monocomponenti, che polimerizzano con l’umidità atmosferica o del supporto; hanno buone caratteristiche meccaniche e di durevolezza.

Leganti epossidici, bicomponenti; ce ne sono di vari tipi che si differenziano tra di loro per le caratteristiche di rigidità, resistenze meccaniche, adesività e tempi di applicazione; tra questi esistono tipi che reagiscono anche sott’acqua; trovano applicazione nel campo del restauro in particolare per applicazioni strutturali.

Leganti poliuretanici, bicomponenti; sono pià elastici degli epossidici e vengono utilizzati in particolare per giunti di dilatazione.


CONCLUSIONI SU LEGANTI E ADDITIVI


In generale i leganti sintetici, di cui i sopracitati costituiscono soltanto una parziale rassegna, sono poco impiegati nel campo del restauro e della conservazione a causa della loro scarsa o nulla traspirabilità, ma soprattutto per la loro irreversibilità, che nella stragrande maggioranza dei casi ne impedisce la rimozione in caso di risultato negativo o di alterazione da invecchiamento. Sono però in corso studi per eliminare questi inconvenienti.

 

Tra i leganti naturali vengono tuttora impiegati in particolare per i lavori di restauro e conservazione “a cavalletto” quelli di più facile reperibilità e solubilità. Nei lavori di cantiere la loro “scomodità” ne ha fatto dimenticare l’uso a favore di soluzioni industriali di più semplice applicazione, anche se a volte queste sono sconsigliabili per interventi su manufatti storici e artistici per la mancanza delle peculiarità irrinunciabili in tali lavori.

 

La loro utilizzazione, attraverso manipolazioni a caldo o a freddo “in bottega” sta recentemente e fortunatamente-ritornando di attualità: piccole industrie artigiane stanno riscoprendo le antiche ricette e nel limite della reperibilità degli ingredienti preconfezionano, appunto “in bottega”, sia prodotti finiti altamente traspiranti e resistenti all’invecchiamento, che additivi naturali facilmente ed opportunamente utilizzabili dall’applicatore-a costi contenuti.

 

LO STATO DELLE MURATURE

Prima di inoltrarci nella descrizione delle varie tecniche di finitura è bene ricordare, anche senza approfondire l’argomento, come possano essere costituiti i sottofondi sui quali dovranno poi essere eseguite le finiture.

Le murature vecchie, monumentali e non, presentano tutte, chi più, chi meno, specifici problemi di traspirabilità, di assorbimento, di umidità e di infestamento. Esaminiamo qui di seguito i più comuni


problemi dovuti all’umidità: le cause possono essere diverse:

. assorbimento capillare delle fondazioni

. acqua battente

. infiltrazioni da errata disposizione degli elementi architettonici

. perdite da impianti

. infiltrazioni da camini

. rappezzature

Assorbimento capillare dalle fondazioni

 

E’ il più diffuso dei problemi che interessano i piani bassi della costruzione. Salvo alcune lodevoli eccezioni, all’imposta delle murature in elevazione non veniva, un tempo, eseguita alcuna barriera contro la risalita dell’umidità, che può arrivare a interessare le murature fino a diversi metri di altezza, infestandole inoltre di sali solubili: (solfati, nitrati e cloruri) che affiorando in superficie provocano distacchi delle tinte e degli intonaci.


Su questo argomento importantissimo si veda anche la sezione dedicata al risanamento da umidità Caparol

 

Si vuole qui soltanto ribadire che nessuna opera di rifacimento e risanamento di murature vecchie, sia esterne che interne, va intrapresa senza aver precedentemente affrontato a fondo tale problema.

Acqua battente

 

L’acqua battente può influire negativamente sulla durabilità delle finiture e degli intonaci. Occorre pertanto tenerne conto nella progettazione del rifacimento, sia per determinare il numero degli strati, sia per stabilire il grado di finitura.

Si ricordi che sulle superfici lisce l’acqua battente scorre per vie preferenziali che comportano scoloriture e depositi di smog, mentre su finiture frattazzate a spugna o sacco la superficie interessata sarà maggiore e quindi minore la concentrazione.

 

Errate disposizioni degli elementi architettonici possono parimenti comportare delle vie d’acqua preferenziali. Occorre ove possibile intervenire in sede di progetto con protezioni e modifiche che pur non alterando l’estetica delle facciate offrano una migliore protezione ai nuovi intonaci.

 

Perdite da impianti — gronde — discese

 

Ovviamente prima di procedere alla reintonacatura sarà necessario accertarsi dell’idoneità degli impianti e delle lattonerie, soprattutto per quelli incassati.

Camini

La presenza di camini, le cui canne fumarie nelle vecchie costruzioni sono ricavate nelle murature senza rivestimento, causano sempre affioramenti di solfati attraverso il nuovo intonaco, con macchie e distacchi delle nuove tinte. Queste zone vanno trattate previamente con antisale in grado di rallentare l’affioramento dei sali e rivestiti con malte macrocellulari, che possano inglobarli.

 

Differenze di assorbimento


Possono essere dovute al grado di cottura dei mattoni, alla presenza di pietre, alle malte di allettamento troppo degradate, ecc.

E’ sempre consigliabile, prima di effettuare la rintonacatura, applicare a schiaffo oppure a spruzzo una mano d’aggancio traspirante ma fortemente adesiva, a granulometria grossa e lasciarla asciugare almeno una settimana prima di procedere all’applicazione dello strato di corpo.

 

Traspirabilità

 

Molto spesso la traspirabilità della muratura è ridotta o addirittura annullata da intonaci a cemento, a malta bastarda molto ricca di cemento, dai rivestimenti in aderenza o anche soltanto dalle finiture filmogene o continue.

 

Nel progettare il rifacimento si dovrà tenere nella massima considerazione il grado di traspirabilità di ogni singolo componente dell’opera da risanare, non esitando a demolire gli intonaci inidonei, i rivestimenti lapidei in aderenza e le finiture filmogene.

 

Nella rintonacatura saranno da preferire le malte a base di grassello di calce che per la loro struttura cristallina (non colloidale come quella del cemento) consentono un’adeguata traspirazione. Opportune miscelazioni con agenti latenti idraulicizzanti consentono alle malte a base di grassello di avere caratteristiche meccaniche e resistenze chimico-fisiche pressoché analoghe a quelle delle malte cementizie.

Rappezzatura

L’economicità della rappezzatura deve fare i conti con le difficoltà della stessa e le conseguenze che può comportare sull’estetica del lavoro ultimato. E’ noto a tutti infatti che, pur eseguendo i rappezzi con la necessaria cura, come vedremo più avanti, gli indispensabili tempi di asciugatura, la neutralizzazione e l’uniformazione dell’assorbimento necessari consigliano di demolire integralmente gli intonaci quando le parti ammalorate raggiungono circa il 40% della superficie.

 

GLI STRATI DI INTONACO

 

Gli antichi Romani sul rinzaffo grossolano, ovviamente a grassello di calce, che serviva da mano d’aggancio spessa 1,5/2 cm., applicavano tre strati di arriccio a grassello e sabbia, quindi due strati di rasatura di spessore 0,5/0,8 cm. a grassello di calce, polvere di marmo e sabbia fine, infine un ultimo strato di velatura da 0,2/0,3 cm. con grassello puro e polvere di marmo.

Già nel MedioEvo, per motivi economici, si sono usati soltanto tre strati e in alcuni casi solo due.

I tre strati normalmente usati in Italia sono:

 

- Mano d’aggancio o rinzaffo-a granulometria grossa (fino a 1 cm.)applicato a schiaffo o a spruzzo in spessore da 1,5 a 2 cm.- oppure con malte additivate con adesivi in spessore di 0,3/0,.5 cm.; preferibili le malte a calce per i problemi di traspirabilità. Dev’essere lasciata asciugare da 3 a 7 giorni.

- Strato di “corpo”-applicato a schiaffo o, recentemente, con attrezzatura montamalta in spessore variabile da 1 a 1,5 cm., di granulometria media, fino a 0,5 mm.; rigonato e fratazzato grossolanamente per facilitare l’adesione dello strato di finitura.

- Strato di finitura (rasatura o velo) a granulometria fine (0,1/0,3 mm.) normalmente a base di calce e polvere di marmo, eventualmente colorato nella massa. Si stende a cazzuola americana su superfici asciutte la rasatura, e su superfici a fresco il velo.

 

Le resistenze meccaniche degli strati di intonaco dovranno sempre diminuire a mano a mano che ci si allontana dalla muratura.

 

Recentemente l’industria ha prodotto malte per intonaco premiscelate la cui curva granulometrica consente compattezza sufficiente a consentirne l’applicazione anche in un solo strato (monostrato o “monocouche”). Gli additivi idrorepellenti ne garantiscono l’impenetrabilità all’acqua battente pur non intaccandone la traspirabilità.

 

I PIGMENTI

 

I pigmenti sono tutte le sostanze amorfe o cristalline che conferiscono colorazione alle altre sostanze.

Sono normalmente polveri finissime che possono essere miscelate e disperse. Si distinguono in:

pigmenti organici: animali e vegetali pigmenti inorganici: naturali e artificiali

Tra questi elenchiamo in particolare quelli resistenti all’azione della calce, alla luce e all’umidità, che sono quelli usati ancora oggi nelle tempere, nell’affresco, nelle pitture a calce e nelle finiture a calce colorate nella massa.

. I pigmenti organici animali

Provengono dal mondo animale, in particolare dalla lavorazione di conchiglie, ossa e secrezioni di animali.

Un breve elenco:

 

- bianco di gusci di ostrica

- bianco d’avorio

- giallo indiano

- nero animale

- nero di avorio

- nero di corna di cervo

 

* I pigmenti organici vegetali Gruppo colori:

 

- indaco artificiale - azzurri

- indaco naturale - azzurri

- nero di carbone - neri

- nero di Germania - neri

- nero di noccioli - neri

- nero di Spagna - neri

- nerofumo - neri

- nero vite - neri

- sangue di drago - rossi

. I pigmenti inorganici naturali (terre naturali)

Questa categoria raccoglie i pigmenti reperibili in natura in cave a cielo aperto e in galleria. Dopo la cavatura non vengono sottoposti ad alcun trattamento chimico; la lavorazione consiste unicamente nella frantumazione, lavaggio e polverizzazione, oppure in alcuni casi nella calcinazione.

Queste terre naturali, conosciute fin dall’antichità, sono ancora oggi in commercio, nonostante le difficoltà di reperimento e dell’ottenimento dei permessi di estrazione. Citiamo qui di seguito soltanto le terre attualmente in commercio, resistenti alla calce e all’azione della luce.

 

Gruppo colori:

- arancio Ercolano - arancio

- blu oltremare naturale - azzurri

- vivianite - azzurri

- polvere di marmo - bianchi

- terra bianca - bianchi

- bruno di Prussia - bruni

- caput mortum - bruni

- terra di Siena bruciata - bruni

- ocra gialla - gialli

- oro - gialli

- terra di Siena naturale - gialli

- terra d’ombra naturale - gialli

- carbone - neri

- nero ferro e terra verde - neri

- terra nera - neri

- cinabrese - rossi

- ocra rossa naturale - rossi

- terra rossa di Pozzuoli - rossi

- crisocolla - verdi

- terra verde - verdi

- verde malachite - verdi

- ametista - viola

 

I RAPPEZZI

Prima di iniziare qualsiasi opera di ritinteggiatura devono essere attentamente considerate le condizioni dell’intonaco.

I sistemi diagnostici devono dare al progettista informazioni sulla consistenza (adesimetro- penetrometro), sull’assorbimento d’acqua, sul contenuto di sali solubili (cartina al tornasole, prove di laboratorio qualitative e semiquantitative, conducibilità elettrica, ecc.), sulla percentuale di umidità contenuta nella muratura (prove al carburo, metodo ponderale, ecc.) e in particolare sulle zone di distacco.

Il metodo più semplice per accertare le zone di distacco consiste nel ”bussare” sistematicamente tutta la superficie evidenziando le zone in cui si riscontra un suono cupo. Altri metodi più specifici sono la mappatura agli infrarossi oppure gli ultrasuoni.

Il progettista, prima di decidere sull’opportunità della demolizione integrale o parziale dell’intonaco esistente, deve prendere in considerazione la possibilità di reincollare le parti di intonaco sane in superficie con cavillature inferiori a 0,5 mm. Il reincollaggio in questi casi può essere effettuato con iniezioni di grasselli di calce idraulicizzata (calce colloidale) o con cementi micronizzati o ancora con leganti sintetici.

Soltanto nel caso in cui le zone da rappezzare superino il 40/45% della tonalità si dovrà prescrivere la demolizione e il rifacimento integrale dell’intonaco; i ripristini però dovranno essere eseguiti tenendo ben presenti le seguenti prescrizioni:

1) tagliare con il flessibile o con uno scalpello ben molato i contorni delle zone di ripristino, avendo cura che il taglio si presenti ad angolo acuto di circa 45° rispetto alla sottostante muratura;

2) soltanto a taglio ultimato procedere alla demolizione, a mano o con piccoli attrezzi che non danneggino la muratura sottostante;

3) procedere ad un’accurata spazzolatura con spazzole dure ma non di ferro, oppure a sabbiatura a secco o a umido-mai ad acqua per evitare di far migrare all’interno gli eventuali sali solubili;

4) le parti interessate dall’umidità di risalita vanno trattate con prodotti atti a rallentare la migrazione dei sali ed eventualmente risanate con i sistemi deumidificanti (vedere apposito manuale);

5) prima dell’esecuzione del rappezzo vero e proprio occorre applicare una mano d’aggancio (”spatterdash”-”spritzbewurf”-”schiaffeggiato”) altamente adesiva che faccia da ponte al successivo corpo dell’intonaco; lasciar rapprendere per almeno 7 giorni;

6) il corpo dell’intonaco dev’essere eseguito con malte il più possibile simili all’esistente e contenenti adesivi naturali e prodotti antiritiro per evitare cavillature tra il vecchio e il nuovo; si deve tener presente che le resistenze meccaniche dei vari strati devono essere decrescenti; evitare strati di spessore superiore a 1,5 cm., non lavorare con temperature inferiori a + 5°C;

 

7) la rasatura finale deve essere eseguita prelevando parti della rasatura esistente in zone poco visibili, macinando la stessa in una granulometria simile all’esistente e quindi miscelando con grassello o leganti della stessa natura di quelli utilizzati nella rasatura dell’intonaco;

8) mantenere umido il rappezzo per almeno 7 giorni e proteggere da sole e vento.

Le rappezzature così eseguite dovrebbero essere lasciate asciugare per almeno tre mesi prima di procedere a qualsiasi trattamento successivo. Le necessità del committente, il noleggio dei ponteggi e l’organizzazione del cantiere obbligano molto spesso a trascurare questa norma fondamentale, con la conseguenza che a lavoro ultimato i rappezzi si evidenzieranno attraverso le tinteggiature e le rasature colorate. Per ridurre questo inconveniente si devono eseguire le seguenti operazioni:

a) attendere comunque almeno tre settimane;

b) neutralizzare l’eccesso di basicità dovuto alla completa carbonatazione con soluzioni di acido muriatico e acqua in rapporto 1:10, lavando immediatamente a più riprese con acqua pura; per la neutralizzazione si possono usare anche prodotti appositi a base di silicati e fluorosilicati; qualora l’intonaco esistente sia in malta bastarda (con cemento) la neutralizzazione va estesa a tutta la superficie;

 

c) neutralizzare eventuali residui di acido cloridrico applicando una soluzione di allume di rocca e acqua in rapporto da 1 a 5;

 

d) la zona rappezzata potrà avere un assorbimento diverso da quelle circostanti. Occorre in questo caso applicare su tutta la superficie appositi primer a seconda dei tipi di tinteggiatura.

 

Per le tinte a calce si può primerizzare la superficie per omogeneizzarne l’assorbimento con una prima mano di tinta a calce contenente il 2% di olio di lino oppure con appositi fissativi reperibili sul mercato.

 

LA PREPARAZIONE DEL SUPPORTO

Abbiamo visto nel capitolo precedente come vengono trattate le superfici rappezzate e come si uniformano a quelle esistenti.

Vediamo ora come si preparano le superfici sia vecchie che nuove prima della tinteggiatura o dell’applicazione degli intonachini colorati (rasature).

Superfici vecchie

Normalmente presentano vari strati di pittura sovrapposti.

Non sempre è necessario asportare tutti gli strati fino al vivo dell’intonaco: bisogna innanzitutto accertare la natura dello strato e il suo grado di conservazione.

Vanno tassativamente rimossi tutti gli strati costituiti da pitture lavabili, semilavabili o idrorepellenti, anche se ancora in buono stato, in quanto non sufficientemente traspiranti. Ancor pià vanno eliminati i cosiddetti rivestimenti continui plastici al quarzo e non.

Vanno asportate le pitture a olio e a colla, mentre le tinte a calce oppure a tempera, se ben conservate e aderenti, necessitano soltanto di una buona spazzolata e di essere fissate con un primer.


A) la pulitura è una fase importante e delicata della preparazione.


Si devono evitare metodi troppo drastici come la sabbiatura a secco, che puà comportare l’asportazione dello strato superficiale dell’intonaco.

Le idrosabbiature e i lavaggi con acqua in pressione possono essere pià delicati ma comportano l’inconveniente di bagnare la muratura e quindi di favorire l’affioramento dei sali.

I sistemi meccanici di abrasione o spazzolature con spazzola di ferro comportano un’eccessiva aggressione e la chiusura della porosità superficiale.

L’applicazione di svernicianti può essere consentita solo in caso di rimozione di pitture sintetiche su intonaci non pregiati e a condizione che possano essere totalmente eliminati da successivi lavaggi prima della ritinteggiatura.

Un metodo più sofisticato è quello ad acqua nebulizzata, in particolare per l’asportazione delle croste nere, che consiste nel sottoporre all’azione di finissime goccioline d’acqua (aerosol) la superficie da trattare. Gli atomizzatori utilizzati consentono di usare una minima quantità d’acqua-circa 4 l/ora-per ugello, senza ricorrere alla pressione.

 

Questo metodo è però sconsigliabile per superfici porose.

Altro sistema utilizzato per cornici, fregi, statue, ecc., è il cosiddetto “metodo dell’impacco biologico”, di argille assorbenti. Il lungo tempo di applicazione ne limita l’applicabilità alle opere d’arte. (Si consultino anche i quaderni “NORMAL” redatti dall’Istituto Gino Bozza del C.N.R. di Milano).

Per tutto quanto sopra si deve concludere che il sistema ancora oggi meno dannoso è quello dell’”olio di gomito”, e cioè la raschiatura e spazzolatura con spazzole vegetali dure con eventuale leggera umidificazione delle superfici.

B)Il consolidamento superficiale

Dopo le operazioni di pulizia molto spesso si constata che la superficie si presenta sfarinante. In questi casi occorre consolidare la superficie con l’applicazione di appositi “fluatanti”, che sono miscele di fluosilicati e silicati basici e si trovano in commercio sotto la denominazione di “antispolvero”.


C) La neutralizzazione

I supporti contenenti cemento, come gli intonaci a cemento o in malta bastarda, hanno una forte basicità che “tormenta” i pigmenti delle tinteggiature e delle rasature colorate. E’ necessario in questi casi neutralizzare la superficie con una soluzione di acido cloridrico o muriatico diluito in acqua in rapporto 1:10.

 

Dopo circa un’ora di applicazione si lava a più riprese con acqua pura fino a quando non si abbia la certezza di aver allontanato ogni residuo di acido.

E’ bene comunque neutralizzare ancora con una soluzione di allume di rocca miscelato con acqua in rapporto 1:5.

D) L’assorbimento

Dopo aver effettuato le precedenti operazioni occorre accertarsi che l’assorbimento dell’intera superficie sia omogeneo. Ciò si può facilmente constatare spruzzando acqua in modo che si formino delle goccioline e osservando il tempo in cui queste vengono assorbite.

Per ottenere un assorbimento omogeneo che non crei problemi nell’asciugatura, e in particolare per le applicazioni all’esterno, è opportuno applicare una prima mano di fissativo costituito da grassello stemperato in acqua con carbonato di calcio molto fine, corretto con olio di lino e adesivi naturali. Sono in commercio appositi prodotti denominati “fissativi”.


Superfici nuove

 

Per le superfici nuove si deve tener presente la natura della malta:

mentre gli intonaci a cemento o in malta bastarda necessitano sempre della neutralizzazione di cui al precedente punto C), gli intonaci eseguiti con grasselli invecchiati possono essere dipinti o rivestiti direttamente avendo cura soltanto di bagnare leggermente la superficie con latte di calce immediatamente prima dell’applicazione.

Anche per le superfici nuove è bene controllare l’uniformità dell’assorbimento ed eseguire se necessario una prima mano di uniformazione con fissativo.


LE TECNICHE PITTORICHE


. A secco

. L’affresco vero o “buon fresco”

. Il falso affresco o falso secco

. Il marmorino

. I graffiti


In questo capoverso ci soffermeremo esclusivamente sulle tecniche pittoriche a calce. Le tinteggiature a calce si possono dividere in due categorie:

 

1) A secco  - su superfici esistenti - su superfici nuove

Per le diverse preparazioni del supporto si rimanda al cap. 9. Si ricorda qui soltanto che quando si opera su intonaci vecchi o che hanno già ultimato la presa, è opportuno inumidire (senza bagnare eccessivamente) la superficie con acqua di calce la sera prima dell’applicazione e ripetere l’operazione il giorno dopo.

Il numero di mani è lasciato al giudizio dell’applicatore. Normalmente sono due o tre a seconda della diluizione del grassello che viene miscelato in rapporto 1:3 o 1:4 con latte di calce. La provenienza del grassello, il suo sistema di cottura a fuoco di legna, il suo invecchiamento, la setacciatura, sono molto importanti ai fini del risultato .

Per le superfici esterne è bene far procedere le mani di tinta da una mano di fissativo al carbonato di calcio a grana grossa steso a pennello, oppure a fratazzo (stucco), eventualmente già colorato, in modo da aumentare la resistenza alle aggressioni atmosferiche.

I pigmenti vanno stemperati prima in poco latte di calce e solo a distanza di ore va aggiunto il resto del grassello e latte di calce fino a raggiungere la diluizione desiderata. Mescolare a lungo. La quantità varia in funzione del tono che si vuole ottenere; non superare però di regola il 10% del peso del grassello.

 

Nell’apposito capitolo dei pigmenti abbiamo già parlato delle necessità di utilizzare soltanto quelli particolarmente resistenti al tormento della calce dovuto all’azione alcalina di questa. Esistono apposite schede (vedere capitolo “pigmenti”) che indicano la stabilità del pigmento alla calce.

I pigmenti più indicati sono le terre perché conferiscono trasparenza alle tinteggiature. Qualora si voglia conferire alla tinteggiatura un sapiente invecchiamento occorre usare tinte maggiormente diluite-in rapporto di 1 a 5 o 6 (velature)-applicandole in più strati e intercalando gli strati con spatolature e spugnature di tono leggermente diverso. Per verificare la tonalità della tinta bisogna tener presente che le tinte a calce schiariscono asciugandosi.

 

Per accelerare l’asciugatura e quindi identificare la tonalità finale è necessario provare le tinte su un supporto assorbente come il legno o il gesso, oppure asciugare con un asciugacapelli, tenendo presente che in quest’ultimo caso la tinta risulterà leggermente più chiara perché “bruciata”.

 

b) ripetere l’operazione al mattino prima dell’applicazione

c) stendere la prima mano molto diluita (1:4 o 1:5) con latte di calce

d) spruzzare nuovamente nebulizzando con acqua di calce per mantenere umida la superficie

e) stendere gli ulteriori strati incrociandoli.


Sia nell’applicazione a pennello che in quella a spruzzo bisogna evitare di applicare le tinte a calce con sole o vento; qualora cià si rendesse indispensabile occorre proteggere con stuoie mantenute umide e umidificare la superficie con nebulizzazione ripetute di acqua di calce per almeno 48 ore.


2) A fresco - a fresco fresco o buon fresco o fresco vero

- a falso fresco o fresco secco

L’affresco, detto anche “fresco fresco” o ancora “fresco vero”, come dicono i suoi nomi è una tecnica conosciuta fin dai tempi antichi ed è già stata descritta da Plinio e Vitruvio. Comporta l’applicazione della tinta su di un intonaco ancora fresco, prevalentemente a calce.

Nell’affresco avviene una reazione chimica tra la tinta e i componenti della malta, dovuta all’azione dell’anidride carbonica. Questa reazione consente alla tinta di fare corpo unico con il supporto, con ottimi risultati di durevolezza (l’affresco dura finché dura l’intonaco).

L’azione della malta ancora fresca sui pigmenti ne produce la calcinazione aumentando il tono della tinta.

Nell’esecuzione dell’affresco è quasi sempre necessaria la collaborazione tra il muratore e il pittore; il muratore dovrà infatti preparare il fondo di murature vecchie, scegliere i leganti in collaborazione con il pittore, che ne dovrà accertare la compatibilità con i pigmenti e scegliere anche le sabbie, che dovranno essere ricche di silice e gli aggregati idraulicizzanti per rendere più resistenti le malte aeree.

 

Le operazioni da eseguire sono quelle già illustrate nei capitoli precedenti . Le riassumiamo qui brevemente:

- pulire con scopa dura allontanando la polvere; in caso di superfici vecchie sfarinanti consolidare con fluosilicati

- neutralizzare con soluzioni di acido cloridrico diluito 1:10 con acqua oppure applicare silicato puro;

- bagnare leggermente con acqua di calce;

- applicare una mano d’aggancio e lasciarla asciugare almeno sette giorni;

- stendere a schiaffo il corpo dell’intonaco fratazzandolo con fratazzo di legno o spugna fino ad ottenere la “grana” superficiale desiderata dal pittore;

- se richiesto stendere il “velo” a malta fine; questo velo può essere applicato sullo strato;

di corpo già secco oppure prima che sia asciutto. Se applicato sul bagnato, il velo rimane umido più a lungo e consente al pittore più tempo per la tinteggiatura; possono però più facilmente verificarsi delle screpolature.

 

Per applicare il “velo” a secco occorre bagnare abbondantemente il corpo dell’intonaco

con acqua di calce, uniformando l’assorbimento per evitare bruciature al “velo” stesso; normalmente si esegue un primo strato di velo di pochi millimetri a calce e sabbia medio- fine e il giorno dopo il velo da tinteggiare con sabbia più fine e polvere di marmo.

Tutte queste operazioni vanno eseguite dal muratore sotto l’attento controllo del pittore e nelle quantità strettamente necessarie a completare le “scialbature” prima che lo strato finale dell’intonaco sia asciutto.

 

Le operazioni strettamente di competenza del pittore sono invece le seguenti. a) La scelta dei pigmenti;

Come abbiamo visto per le tinteggiature a calce la prima qualità del pigmento è la sua stabilità all’azione caustica della calce. Ovviamente operando su supporti freschi questa causticità è maggiore.

E’ necessario inoltre che il pigmento abbia una buona stabilità alla luce, in particolare ai raggi ultravioletti.

 

Il grado di purezza è anch’esso importante.

Un metodo semplice per separare le impurità è il seguente:

- disperdere il pigmento in acqua

- lasciar decantare

- togliere le impurità galleggianti

- rimescolare a lungo

- lasciar nuovamente decantare per alcuni minuti e quindi travasare lasciando sul fondo le parti più pesanti

- ripetere più volte l’operazione.


Altra caratteristica importante per gli affreschi è la “trasparenza” del pigmento, per cui sono da preferirsi le terre coloranti che viste al microscopio a luce trasmessa appaiono molto più trasparenti degli ossidi di ferro e dei pigmenti artificiali in granuli.

Le terre coloranti inoltre hanno una notevole ricchezza di componenti cromatiche da cui dipende la morbidezza di tinta delle antiche pitture.

b)La preparazione delle tinte.

Nell’affresco vero o buon fresco le mani devono essere quanto più possibile liquide e trasparenti (scialbature); se ne applicano da 4 a 5 e ogni mano deve lasciar intravedere il fondo.

Il rapporto di diluizione con il grassello è normalmente di 1 a 5:6 con latte di calce.

Per quanto riguarda la scelta dei grasselli è opportuno conoscere la cava d’origine (poiché il grado di purezza varia da cava a cava), la tonalità di bianco e l’azione chimica sui pigmenti.

Si ricorda inoltre, come già precisato, che è indispensabile, per gli affreschi, utilizzare grasselli cotti al fuoco di legna, setacciati più volte e -per gli affreschi d’arte- micronizzati.

L’invecchiamento del grassello per gli affreschi non deve essere inferiore a due anni in caso di tinteggiature di vaste campiture, mentre per i decori d’arte vengono richiesti tempi più lunghi di invecchiamento. Richiedere al fornitore che venga indicata sull’etichetta la data dello spegnimento.

L’invecchiamento del grassello come abbiamo già visto è una questione controversa. Alcuni, equivocando sul fatto che con il tempo il grassello perde leggermente in aderenza, consigliano l’uso di grasselli invecchiati solo pochi mesi, non considerando che il tempo smorza l’azione “tribolante” sui pigmenti, il che è determinante in particolare negli affreschi di qualità e nelle opere d’arte.

L’aderenza inoltre può essere migliorata con l’additivazione di adesivi naturali al grassello stesso, oppure in fase di applicazione, come usavano i nostri nonni, mescolando con la tinta latte magro, colle animali, adesivi naturali o sintetici (vedere capitolo “leganti e additivi”).

 

c) L’applicazione della tinta.

Per l’applicazione delle tinte occorre:

- verificare la consistenza dell’intonaco: premendo con le dita non si devono lasciare impronte;

- decidere sulla necessità della neutralizzazione, indispensabile su intonaci in malta bastarda ;

- applicare le tinte precedentemente preparate, possibilmente a spruzzo perché più veloce o, se a pennello, tenendo questo molto leggero e perpendicolare alla superficie;

- incrociando le mani stendere le successive scialbature avendo cura che ogni mano lasci intravedere per trasparenza la mano sottostante.

 

d) L’additivazione delle tinte.

L’additivazione con adesivi, colle ecc., può avvenire direttamente nel grassello per conferirgli particolari qualità, oppure nelle polveri, soprattutto per i veli o rasature di finitura. Si trovano in commercio prodotti premiscelati a due componenti- grasselli e polveri già miscelate-pronti all’uso, eventualmente già

colorati nella massa.

Nell’utilizzo di questi prodotti occorre soprattutto richiedere grasselli di origine controllata in modo da conoscere le caratteristiche della cava di origine, esigere grasselli non additivati con leganti sintetici che possono ostacolare la traspirabilità della sottostante muratura, identificare nella formulazione proposta dal produttore le caratteristiche progettuali che più rispondono alle esigenze del caso.

 

I produttori che offrono sul mercato prodotti strettamente derivati da “ricette storiche” e che curano di mantenere le caratteristiche confortate da secoli di esperienza non possono necessariamente che avere piccole dimensioni artigianali.

Il loro compito infatti è esclusivamente di rendere più agevoli le operazioni che un tempo l’artigiano svolgeva in cantiere al fine di semplificare l’applicazione e ridurre i tempi di esecuzione, mantenendo però le peculiarità delle miscele “a mano”.

Sarebbe troppo lungo dilungarsi qui nel rievocare i sistemi e le ricette con le quali gli antichi artigiani confezionavano “a mano” in cantiere malte, rasature e tinte, utilizzando, oltre ai derivati del latte, quelli dell’uovo, le colle vegetali e animali e resine ormai irreperibili.

3) Alcune varianti nella preparazione dell’affresco.

Per ritardare l’asciugatura e quindi consentire al pittore di operare per più tempo, nel confezionamento delle malte si sono miscelati fin dall’antichità degli aggregati quali la pomice o il lapillo vulcanico che oltre a conferire idraulicità al grassello, per la loro natura spugnosa trattengono a lungo l’acqua dell’impasto.

La miscelazione inoltre di paglia, segatura o sostanze vegetali macerate nella calce ed opportunamente trattate con silicato di sodio, consentiva nel medioevo di eseguire intonaci senza screpolature e con lungo tempo di asciugatura.

4) Il falso affresco o falso secco

Nel restauro degli affreschi, più che con colori miscelati al latte di calce-specialmente per quelli che non resistono all’alcalinità della calce-si usa applicare a “buon fresco” una mano di fondo e quindi a secco ritoccare a tempera, cioè con colori disciolti in acqua.

Per proteggere ulteriormente questi colori dal tormento della calce si usa ancor oggi stendere due o tre mani di latte scremato, cioè privato delle parti grasse con bolliture ripetute.

5) Il marmorino o stucco lucido

L’ultimo strato dell’intonaco o “velo” può essere composto da una miscela di grassello e carbonato di calcio (polvere di marmo).

Il carbonato di calcio si combina interamente con la calce spenta formando uno strato cristallizzato molto resistente e lisciabile facilmente con il dorso del fratazzo. Questo tipo di malta può essere colorato nella massa.

Questo tipo di velo si stende preferibilmente sul sottofondo fresco, però può essere applicato sul secco. Occorre normalmente applicare in due mani lisciando energicamente con il dorso di una cazzuola possibilmente di acciaio e quindi lucidare con un panno tiepido.

Il marmorino può anche essere lucidato con un ferro caldo pennellando però prima per due o tre volte dell’acqua miscelata con sapone di Marsiglia. Volendo dipingere queste superfici bisogna farlo prima della lucidatura a calce, perché in questo caso le tinte si fissano indelebilmente.


6) I graffiti

In generale si può dire che la tecnica dei graffiti derivi da quella degli affreschi. Il concetto base è quello di costituire vari strati (velature) di colore diverso, in genere dai più scuri ai più chiari.

Dopo aver spolverato il cartone (sinopia), mentre l’intonachino è ancora fresco si asportano le parti su cui deve comparire il colore dello strato sottostante.

I diversi strati di “velo” possono essere colorati anziché con terre anche con graniglia di marmo.

 

Un altro metodo è quello di rimuovere il velo completamente essiccato con la martellina e lo scalpello.